Exploradora https://exploradora.it sull'identità e la (ri)costruzione di sé Mon, 16 Oct 2017 20:50:40 +0000 it-IT hourly 1 https://wordpress.org/?v=5.8.1 54882380 Ho pianto https://exploradora.it/2017/07/09/ho-pianto/ https://exploradora.it/2017/07/09/ho-pianto/#respond Sun, 09 Jul 2017 21:48:07 +0000 http://exploradora.it/?p=1922 Continue reading

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Un caro amico parlava di cosa succede quando si cade, quando un evento negativo ci spappola l’esistenza, e soprattutto di come ci si riprende. E mi ha dato da pensare.

Io ho pianto. Ho pianto tanto quando sono caduta rovinosamente; ho pianto tantissimo, di impotenza, quando non sapevo che pesci pigliare né come si facesse a respirare sott’acqua; ho pianto di amarezza quando mi sembrava di pedalare a vuoto e di non riuscire a fare altro che cadere, senza soluzione di continuità. Poi ho iniziato a piangere di sollievo, quando iniziavo a provare di nuovo le cose per davvero, a provarle con la mia percezione e non con quella ricevuta dalle circostanze; ho pianto di emozione quando ho fatto due conti e mi sono accorta che pur cadendo la ripresa si faceva sempre più veloce; ho pianto di gioia quando ho scoperto che riuscivo ad accorgermi di avere persone tossiche davanti a me *prima* che mi facessero male, e quindi riuscivo ad evitarle; ho pianto di tenerezza, nei miei confronti, nel leggere le “opinioni” del mio amico e constatare che è così, che si sta male e pure uscendo dalla zona di tranquillità si può stare male se non addirittura peggio, ma che dopo, con il tempo e con una pazientissima bonifica, si sta infinitamente meglio, si diventa padroni di sé, senza paura di perdersi.

Io non so bene come dirlo, il modo giusto lo troverò prima o poi, ma questo amico scrive spesso cose che aprono paesaggi interiori pieni di luce. Grazie.

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Emozioni in cammino https://exploradora.it/2016/10/26/emozioni-in-cammino/ https://exploradora.it/2016/10/26/emozioni-in-cammino/#respond Wed, 26 Oct 2016 13:51:30 +0000 http://exploradora.it/?p=1907 Continue reading

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appuntamento-al-buio

Come sono contenta! Da qualche tempo insieme a due amiche organizzo passeggiate notturne in campagna che danno molto spazio al contatto con se stessi: Eleonora si occupa della parte tecnica e di relazione con la natura, Martina si occupa della parte creativa e realizza oggetti unici, io mi occupo delle emozioni e di come intrecciarle con gli altri elementi. L’ultimo appuntamento è stato davvero bello e magico, si è creata una grande sintonia tra tutti i partecipanti.

Sono contenta, dicevo, perché un po’ alla volta trovo diversi modi per occuparmi di emozioni e per di più condividendoli con tante persone. Dopo gli anni dedicati alle emozioni attraverso Exploradora, non avrei potuto chiedere di meglio!

bianconiglio

Ecco i postumi della camminata del 21 ottobre:

Ci abbiamo messo un po’ di giorni a riprenderci dalle emozioni della camminata di venerdì scorso… Anzi, a dire il vero non vogliamo affatto riprenderci, ci teniamo stretta la gioia condivisa!

Grazie a chi c’era e si è aperto agli altri. Il momento della cena condivisa è stato magico e siamo stati travolti dagli odori! Tale è stato il risveglio dell’olfatto che nel salutarvi abbiamo sentito profumi che all’incontro iniziale non avevamo colto – è successo anche a voi o siamo (piacevolmente) pazze?

Grazie a chi non c’era fisicamente ma ci accompagnava con il cuore, in particolare l’impareggiabile Martina Bettella che ha creato i libretti che avete ricevuto, oltre a contribuire all’ideazione della passeggiata.

Siamo passati dalla luce della “tavola” imbandita con i vostri racconti, alla luce ritrovata in un appuntamento al buio con le persone più preziose che possiamo incontrare: noi stessi.

Stiamo già preparando la prossima passeggiata, sarà tra poco meno di un mese, sempre di venerdì, sempre abbracciati dalla notte. A presto, e grazie ancora!

Elonora, Mariela e Martina

(Se vi siete innamorati dei libretti, qui trovate altre creazioni meravigliose: Martina Ri-crea home & different creations)

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in nuce: laboratori per esplorare se stessi https://exploradora.it/2016/10/18/in-nuce-laboratori-per-esplorare-se-stessi/ https://exploradora.it/2016/10/18/in-nuce-laboratori-per-esplorare-se-stessi/#comments Mon, 17 Oct 2016 22:35:56 +0000 http://exploradora.it/?p=1873 Continue reading

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definizione di "in nuce" dal De Mauro

Succede, quando avvii un processo di cambiamento, che pedali e pedali e ti sembra di non andare molto lontano. A un certo punto ti guardi indietro e vedi il percorso fatto e pensi “però, ne ho fatta di strada, manca poco alla meta!”. Quando raggiungi la meta, ahimè, anzi ahitè, ti accorgi che quella era solo una fase, addirittura incipiente, di qualcosa di molto più grande. Pedali ancora, guardandoti intorno in continuazione, alla ricerca di una nuova meta, ma quando la scorgi capisci che anche quella è solo una tappa.

Non è un errore, non c’è nulla di sbagliato in te, funziona proprio così: quando cresci con consapevolezza profonda comprendi che la vita è un cantiere aperto che non finisce mai, che siamo esseri in divenire e che la conoscenza di sé e del mondo non fa altro che spostare l’asticella, senza mai dissetare del tutto. Accettare e cercare il cambiamento è indicatore, insomma, di “sana e robusta costituzione” interiore, non di debolezza.

Vivere appieno il cambiamento vuol dire accoglierlo come compagno di viaggio: ti farà sentire sempre allo stato iniziale, embrionale, di un progetto con un potenziale sterminato. Diventerai “grande” quando vedrai in questa non-compiutezza un’opportunità anziché una minaccia.

Se hai il sentore di sviluppi futuri nella tua vita ma sei in dubbio su come esplorare la tua latente capacità di sviluppo, contattami attraverso la pagina Facebook in nuce o la mail innuce@exploradora.it e ti aggiornerò su un modo divertente e arricchente per farlo. Sarà anche tosto, intenso, sfidante, stimolante, affascinante e altro ancora, quindi dovrai metterti in gioco sì o sì. Scrivimi anche se a spingerti è “solo” la curiosità.

A presto, buona esplorazione!

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Dalla consapevolezza all’azione https://exploradora.it/2016/07/14/dalla-consapevolezza-allazione/ https://exploradora.it/2016/07/14/dalla-consapevolezza-allazione/#respond Thu, 14 Jul 2016 21:39:34 +0000 http://exploradora.it/?p=1925 Continue reading

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paralizzata

Un caro amico mi dice che non gli basta la consapevolezza acquisita a fatica, perché poi comunque le cose si ripresentano e non cambiano più di tanto. Certo, dico io, la consapevolezza è “solo” il primo passo, un passo fondamentale e importante, ma è appena l’inizio di un lungo percorso (e infatti spesso rimaniamo impantanati nella consapevolezza, quella che avevamo ingenuamente scambiato per soluzione ai nostri problemi: divento consapevole ergo risolvo tutto).

I passaggi necessari per il cambiamento, secondo me, sono (almeno) quattro: consapevolezza, accettazione, accoglienza, azione. Giustamente l’amico mi chiede delucidazioni sull’accoglienza: è come l’accettazione, ma con affetto.

Mi spiego:
– prima c’è la fase della scoperta, ovvero diventi consapevole di una tua difficoltà o mancanza, ma sapere dov’è (o com’è fatta) non la risolve in automatico;
– dopo inutili tentativi di eliminare frettolosamente il problema, che non è altro che un modo di rifiutarlo, accetti che quella è una parte di te anche se non ti piace, inizi a pensare che dovrai conviverci e gestire la cosa;
– un po’ alla volta ti guardi con amore e accogli quella “versione di te” che non ti piace, la abbracci, smetti di ignorarla e di considerarla difettosa, anzi scopri che non è nemmeno una versione ma sei proprio tu (questa fase è difficilissima e si impara soltanto facendo, allenando i muscoli emotivi, non ci sono scorciatoie);
– tieni conto di ciò che sai, e soprattutto di ciò che accetti e accogli, e agisci di conseguenza (questa parte inizia gradualmente con l’accettazione, ma è solo l’amore a farti fare il salto di qualità.)

Dalla prima consapevolezza all’azione realmente efficace possono passare anni, dipende dall’entità di ciò che stai affrontando (e da come sei fatto). Quando sei in azione, anche nei primi tentativi, è quando più lavori su di te — ti porti verso l’esterno ed è quello il banco di prova. Tutto il processo viene accelerato dalla relazione con l’altro, il modo in cui ti poni è un indicatore di come e quanto hai accettato e accolto di tuo. Se ti ascolti o ti guardi mentre parli con l’altro, vedi chi sei, come stai, ma per parlare con l’altro devi prima ascoltarlo. Paradossalmente, è nell’ascolto dell’altro, nel momento in cui sospendi te stesso, che emerge la tua natura.

In realtà — ma questo lo comprendi molto avanti — la prima consapevolezza è un po’ superficiale, o forse troppo razionale; ciò che risulta del processo di cambiamento è invece una consapevolezza profonda, interiorizzata, che non hai più bisogno di evocare perché accompagna ogni tuo gesto.

Ovviamente per poter fare tutto questo bisogna volerlo davvero, perché per crescere e imparare tocca scegliere e prendere decisioni, lasciare da parte molte cose per fare spazio a quelle che ti fanno bene. Serve infinita pazienza perché mille volte sbaglierai e dovrai rimetterti in discussione; serve anche una grande tenacia perché più ti conosci e conosci l’altro e più si aprono nuovi orizzonti e continui a spostare l’asticella senza soluzione di continuità. Insomma non è un impegno che ha una meta vera e propria. Sei disposto a pedalare?


Post originariamente pubblicato su Facebook

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Variante di valico https://exploradora.it/2015/12/24/variante-di-valico/ https://exploradora.it/2015/12/24/variante-di-valico/#respond Thu, 24 Dec 2015 17:18:30 +0000 http://exploradora.it/?p=1864 Continue reading

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energia extra per creare

Hai presente i videogiochi in cui quando mangi una cosa preziosa puoi attraversare più velocemente un percorso o diventi immune per alcuni secondi? Ecco, ci sono momenti nella vita, diciamo delle epifanie, in cui connetti quasi per caso una serie di punti e ad un tratto VEDI cose che prima non vedevi… e così fai enormi passi in avanti nella consapevolezza di te, in pochissimi secondi, e per certe cose sei pure immune! Poi passa, per questo è importante saper cogliere il momento, è un po’ come la corrente veloce in Nemo solo che non è un luogo che possiamo segnare in una mappa, è piuttosto un luogo del cuore. È come quando un sogno trova il suo compagno di viaggio – perché “un sogno è un bisogno spaiato”, come ha detto il saggio Nicola 😉

(Dai commenti a un post su Facebook)

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La cura https://exploradora.it/2014/03/14/la-cura/ https://exploradora.it/2014/03/14/la-cura/#respond Fri, 14 Mar 2014 12:18:52 +0000 http://exploradora.it/?p=1787 Continue reading

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nenas en parque enredoso

– L’hai fatto per loro? Quando mia figlia ha raggiunto l’età che avevo io allora, mi ha smosso qualcosa e ho deciso di lavorarci sopra.

Le avevo raccontato di questo progetto, Exploradora, e stavamo parlando di figli. Quando parlo di abusi sessuali nell’infanzia so che aiuto a far capire, a chi ne sa poco o nulla, che sono casi assai frequenti e che un giorno quei bambini abusati crescono e devono fare i conti con tante cose dolorose. Ma so, soprattutto, che è assai probabile che abbia come interlocutore proprio una vittima di abusi. Siccome dall’altra parte potrei avere sia una persona consapevole che ci lavora sopra, sia una che si sforza di non aprire certi cassetti e che rischia di scoppiare con una parola fuori luogo, cerco sempre di essere delicata e accogliente, pur con una buona dose di fermezza.

Qualche sera fa ne ho incontrata una consapevole e che si è fatta riconoscere subito. È la prima volta che mi succede ed è stato bello; so che per molti può sembrare strano, dato l’argomento in questione, ma siccome non ci soffermiamo tanto sull’abuso bensì sul processo di guarigione, ogni considerazione è un’ulteriore presa di coscienza e un’occasione di crescita. Con la sua domanda mi ha fatto pensare a come è iniziato il mio percorso: c’erano diversi elementi in gioco, ma in effetti sono state le mie figlie a fare da catalizzatore per occuparmi di me, mettendomi in crisi mille volte e portandomi a pormi tante domande scomode.

Quando stavo per separarmi ho pensato, fra le altre cose: voglio che le bimbe abbiano una mamma che lotta, anche se non riesce a ottenere ciò che vuole; voglio che abbiano come modello una donna che ci prova con tutte le sue forze, che cerca di stare bene. Quando poi ho avuto una storia, sono emerse molte contraddizioni in me e a un certo mi è scoppiato in mano il ricordo degli abusi – non che l’avessi rimosso, ma l’avevo “semplicemente” svuotato di ogni significato e di ogni carica emotiva. Quando ho conosciuto una cara amica e sua figlia, che allora aveva 9 anni, ovvero l’età che avevo io all’epoca dei primi avvicinamenti del pedofilo, ho sentito un brivido, più sotto la pelle che in superficie, che mi ha scossa. E mi sono affezionata tanto a quella bambina, che in fondo ero io. Ma le epifanie più illuminanti e le sensazioni più intense e talvolta dolorose le ho avute nell’ordinaria amministrazione delle piccole e grandi cose che quotidianamente bisognava affrontare con le bimbe: i giochi, le coccole, la fiducia, l’ascolto…

Intendiamoci, quando ero adolescente dicevo che non era il caso di avere figli, “ho già i miei casini da sistemare, figuriamoci se posso occuparmi di un’altra persona”, quindi in effetti intuivo la difficoltà ma non avevo il coraggio di guardarla in faccia. Anni dopo ho ceduto e ho deciso di avere figli, qualcuno mi ha detto che forse l’ho fatto per trovare un ancoraggio. Come succede a tante donne, ho fatto fatica a gestire la maternità, le paure, i sentimenti contrastanti. Insomma, tutti abbiamo cose da risolvere, su cui lavorare, ma in particolare quelli come me hanno un carico aggiuntivo di conti in sospeso specificamente sulla cura – di sé, degli altri, dei bambini. La maternità mi ricordava che dovevo imparare a prendermi cura di due cucciole e che non sapevo cosa significasse, non avendolo mai fatto su di me.

Avevo parecchie resistenze, molte cose mi risultavano ardue e detestabili dell’essere madre e del dover accudire le bambine. Ma la prima vera svolta avvenne proprio a proposito di qualcosa che mi irritava in particolar modo. Le bimbe volevano sempre che io giocassi con le Barbie insieme a loro e io lo facevo controvoglia, così finivo per annoiarmi subito e non giocavo bene, il gioco finiva per non essere divertente nemmeno per loro. Un giorno ho semplicemente esplicitato le mie preferenze, spiegando che non mi piacciono le bambole, che potevano chiedermi tutte le volte che volevano di fare giochi creativi o di ruolo (teatralizzando ogni cosa), ma le bambole no, ecco. In questo modo non solo ho mandato alle mie figlie un messaggio chiaro (la mamma ha le sue preferenze) e al contempo rassicurante (la mamma non ti vuole meno bene se non ama le stesse cose che ami tu), ma l’ho mandato anche a me: mi sono detta che posso esprimere preferenze, che non devo per forza fare qualcosa che non mi piace. All’inizio loro ci sono rimaste male, ma quando hanno scorto le innumerevoli possibilità ludiche da esplorare insieme mi hanno proposto dei giochi bellissimi, ad esempio fare merenda giocando a Cenerentola – io ero la matrigna, uno spasso! Da quella volta i nodi sono stati molto più facili da sciogliere, ci siamo divertite un mondo con altri giochi e talvolta ho perfino giocato alle bambole.

Purtroppo non facciamo in tempo a trovare una strategia giusta che loro cambiano e tocca spostare tutto, riorganizzare la disposizione delle risorse mentali e rimettersi in discussione in continuazione. I figli cambiano perché crescono, ma cresciamo e cambiamo anche noi. Con la crescita delle mie sono emerse, com’è logico, nuove sfide, soprattutto quelle che riguardano le emozioni. Doppia sfida, visto il mio passato. Ci ho pensato molto quando la più piccola ha avuto problemi a scuola e sono riuscita ad aiutarla puntando molto sull’ascolto e comunicando con lunghi e morbidi abbracci al momento giusto – ovvero quando era talmente in crisi che non riusciva nemmeno a parlare, fosse pure per protestare a vanvera. Ma non tutto si può risolvere con gli abbracci, com’è possibile aiutare i bambini a capire le loro emozioni se prima di tutto dobbiamo capirle noi, le loro e le nostre emozioni? Come arrivare a loro, al loro cuore, come aprirci strada senza essere invadenti e lasciando loro autonomia? Un po’ ho ragionato su queste cose commentando un post di Alessandra Farabegoli sui sensi di colpa delle mamme, sull’attenzione e le cure che richiedono i figli. Poi, per vie traverse, sono arrivata a una piccola scoperta.

Qualche tempo fa ero via in treno, volevo leggere ma non cose lunghe, visto che il viaggio non durava tanto, quindi ho scelto Alla ricerca del lessico perduto, di Daniele Petruccioli – non ricordavo  più quando l’avevo messo sul Kindle, già trovarlo è stata una bella sorpresa! L’articolo parla di traduzione letteraria, della difficoltà di fare sgorgare il linguaggio giusto, di lessico famigliare, di ascolto profondo. Giunta a metà del testo, dove si parla di com’è nato lo “stile Saramago” ho cominciato a sentire che c’era qualcosa lì; poi quando sono arrivata alla questione della lingua madre è stato tutto chiaro e ho trovato un parallelismo con la maternità, anzi con il nostro modo di relazionarci con i figli.

Un traduttore letterario è un mediatore che porta un testo da una cultura a un’altra. Deve trovare il modo di riscrivere il testo in un’altra lingua, mantenendo però la spinta che ha fatto muovere l’autore, la sensazione che provoca in chi lo legge. Credo che un genitore faccia qualcosa di simile. Non trasforma un figlio da bambino in uomo, da creatura di casa a cittadino del mondo, bensì lo aiuta a viaggiare dalla dimensione individuale a quella delle relazioni, della collettività, della vita in società. La materia prima del traduttore sono le parole, la lingua – con forti radici nelle emozioni, come ben spiega Petruccioli. Quali sono le materie prime di un genitore? Le emozioni. Come dicevo ad Alessandra, per la logistica (cibo, vestiti, pulizia di casa) basta un/una colf, per i compiti potrebbe bastare anche una brava babysitter, per il sostegno emotivo non è possibile delegare, ci vuole una figura genitoriale di riferimento, chiaramente identificabile e presente. Ma la mamma, o il genitore in generale, non è un essere mitologico fatto di marmo, con emozioni unicamente positive e chiare, anzi oltre a essere fatto di infinite emozioni anche contraddittorie, è pure ambiguo – a se stesso prima ancora che agli altri.

Dice Petruccioli:

Se è vero che il mio idioletto, il mio rapporto con la lingua, si compone di tante voci stratificate, e se è vero che questo mio modo personale di vivere e abitare la lingua si incontra e scontra, nella storia della mia vita, con quelli degli altri o di altri gruppi che possono modificarlo o rafforzarne le particolarità, farlo entrare in crisi o al contrario instillargli l’orgoglio della sua diversità, allora è vero anche che quella che chiamo la mia lingua madre si compone non solo di tanti linguaggi, di tante voci, ma anche di tante distanze diverse a cui queste voci possono posizionarsi rispetto a me. Da questo punto di vista, dal punto di vista dei linguaggi, delle voci, non esiste un soggetto parlante monolingue. È un’astrazione.

[…] Se parto dall’impiego di parole che suonano calde al mio orecchio, sarà più facile, per me traduttore, evocare voci la cui manipolazione in senso creativo mi serve come il pane se voglio tradurre qualcosa di più delle parole di un testo, perché mi rende in grado di pormi alla stessa distanza o vicinanza dallo standard che annuso, per così dire, nell’originale, ma questa volta all’interno del sistema di arrivo. La manipolazione creativa di queste voci antiche, cioè, mi metterà in condizione, almeno secondo la mia esperienza, di accordare il mio orecchio al pulsare della lingua, della lingua comune stavolta, e di poter ritrovare così quelle cellule ritmiche di cui ho estremo bisogno. A questo mi serve sapermi tuffare in modo consapevole nelle memorie linguistiche.

Provate a cambiare i termini parole/lingua/linguaggi con emozioni e vedrete come si apre davanti a voi una distesa di infinite possibilità di crescita, per voi e per i vostri figli. Mi spiego: se capissimo e accettassimo che siamo essere complessi, fatti di speranza e di paura, capaci di amore come di rancore, le nostre aspettative nei nostri confronti, e nei confronti dei nostri figli, cambierebbero subito. Siamo umani, insomma, sembra che continuiamo a dimenticarlo. Siamo frutto di esperienze di ogni genere, possiamo farne quel che vogliamo con un arduo lavoro interno, ma nulla ci toglierà il nostro vissuto, che ha segnato il nostro percorso (soprattutto) dalla prima infanzia. Cosa resta, quindi, delle emozioni che abbiamo provato quando non eravamo ancora genitori? Perché mai dovremmo essere così diversi ora che abbiamo figli e avere pure la capacità di gestire alla perfezione i momenti di smarrimento dei nostri pargoli? Siamo davvero in grado di risolvere i nostri smarrimenti? Guardiamoci allo specchio e rivediamo, dunque, le emozioni che abbiamo ricevuto, quali abbiamo conservato, quali ci sono di intralcio, quali invece ci aiutano ad ascoltare meglio i nostri figli e a dare risposte più vicine a loro – in fondo più vicine a noi stessi. Molte delle cose che abbiamo provato noi, in fondo, le provano anche loro. Forse per questo talvolta ci costa capirli: sono un promemoria di ciò che è stato in noi (e che spesso c’è ancora), e non sempre è bello. E non è necessario aver subito abusi sessuali nell’infanzia per avere conti in sospeso con le emozioni.

[…] non c’è niente di più pericoloso di un traduttore che creda di poter riempire i propri vuoti di comprensione con i troppo pieni del proprio ego. D’altra parte, però, se non si trovano i punti di risonanza immediata fra esecutore e testo da eseguire, l’esecuzione potrebbe risultare un po’ scolastica. Glenn Gould non suonava tutto, e non suonava niente come Bach. Anche noi traduttori, credo, dobbiamo imparare a non tradurre tutto, e a trovare quali punti del testo facciano vibrare meglio le nostre corde.

Ecco, questo riporta alla mia esperienza di gioco con le bambole a all’accettare (e dire) che non tutto fa vibrare le mie corde, non tutto so fare bene, non tutto mi garba. Dovremmo avere l’umiltà di ammettere che siamo imperfetti e incompleti, che molte cose non le sappiamo, che molte cose le dobbiamo imparare strada facendo, che non saremo in grado di affrontare ogni situazione con determinazione e convinzione: a volte dovremo cercare di capire che cosa ci mette a disagio o chiedere aiuto. Prenderci cura di una persona ancora più incompleta di noi è impegnativo e ci chiede di mettere in campo tutte le nostre risorse emotive. Quando emergono resistenze spesso è sintomo di qualcosa da risolvere in profondità: noi abbiamo gli strumenti per farlo, i bambini no.

Grazie all’incontro con una donna speciale, che mi chiedeva se avevo avviato questo progetto per le mie figlie, ho potuto recuperare gli appunti sparsi accumulati negli ultimi mesi e li ho messi un po’ in ordine. E concludere che in realtà non l’ho fatto per loro, l’ho fatto per me, ma loro sono state la benzina che mi ha fatto andare avanti in momenti cupi, loro mi hanno spinta a riconsiderare ogni mia convinzione mille volte, loro mi hanno chiesto risorse che non sapevo neanche di avere e le ho trovate, loro mi hanno costretta a scavare nelle mie emozioni antiche di bambina per poter dialogare con le loro emozioni. Tutto questo perché ho voluto prendermi cura di loro, davvero.

Sì, ho fatto un giro lungo, ma d’altronde crescere un figlio è un giro piuttosto lungo.

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Vista laterale https://exploradora.it/2014/02/16/vista-laterale/ https://exploradora.it/2014/02/16/vista-laterale/#respond Sun, 16 Feb 2014 22:21:05 +0000 http://exploradora.it/?p=1844 Continue reading

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vista laterale - Exploradora

A volte succede che ti saltano agli occhi dei piccoli dettagli. A volte eventi lontani da te ti dicono tutto su di te e su dove ti trovi (nel tempo e nello spazio). A volte una parola si ferma nella tua testa e intuisci che dietro c’è un universo – impegnativo, sì, ma tuo. A volte ti immergi nei conflitti degli altri, che prima erano anche tuoi, e capisci che ne hai fatta tanta di strada. E a volte hai un’epifania e trovi un filo conduttore in tutto ciò e pure una decisione che ti mancava.

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Non era quello che volevo: è stato bellissimo https://exploradora.it/2014/02/03/non-era-quello-che-volevo-e-stato-bellissimo/ https://exploradora.it/2014/02/03/non-era-quello-che-volevo-e-stato-bellissimo/#respond Mon, 03 Feb 2014 22:56:29 +0000 http://exploradora.it/?p=1829 Continue reading

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Sembra una contraddizione, lo so, ma a volte non ottenere ciò che vogliamo può essere bello, addirittura bellissimo. Dipende dal tipo di rapporto (rigido? flessibile?) che abbiamo con le aspettative e dalla nostra disponibilità a trarre vantaggio dalle situazioni apparentemente avverse.

Mi è successo qualcosa del genere quasi un mese fa in ambito più o meno lavorativo: per i soliti misteri della fede informatica, LinkedIn ha inviato oltre mille inviti ai miei contatti, tra Facebook e posta elettronica. Detesto ricevere inviti di collegamento con messaggi automatici, anzi quando faccio formazione sull’uso dei social network insisto molto sulla personalizzazione, figuratevi come mi sono sentita sapendo che ne avevo mandati, a mia insaputa, non solo in quantità spropositata ma soprattutto con quegli odiosi testi generici! Ne ho approfittato per fare gli auguri di buon anno a tantissime persone, ho imparato che potevo trasformare un piccolo incidente in un’opportunità (di socializzazione, di consolidamento di legami). Qualche giorno fa, invece, è stata la solitudine a darmi una grande occasione per imparare, soprattutto a conoscermi e ad ascoltarmi.

Venezia giornata di pioggia, ph MoyanoSomoya

Venerdì 31 gennaio c’era l’inaugurazione della mostra Genesi di Salgado alla Casa dei Tre Oci, e un’ora prima dell’inaugurazione c’era un incontro degli instragramers del Veneto con Salgado. Ovviamente appena l’ho saputo mi sono iscritta, mi sono organizzata per poterci andare, ho sofferto quando il fiume dietro casa sembrava ingrossare pericolosamente, poi sono riuscita a prendere il treno, incrociando le dita per non trovare l’acqua alta a Venezia. Sono arrivata in tempo, ho aspettato insieme agli altri che ci aprissero, siamo entrati, siamo saliti al secondo piano e abbiamo iniziato a guardare le foto, bellissime.

È arrivata l’organizzatrice (l’unica che conoscevo, e pure solo di vista) e ci ha detto che Salgado era molto stanco, aveva fatto tanto quel giorno quindi arrivava tardi, non si sapeva a che ora. Siamo stati lì per un’ora fino al momento dell’inaugurazione, e in quell’ora gli altri, che in alcuni casi si conoscevano, chiacchieravano e ridevano. Pure la maggior parte di quelli che non si conoscevano si presentavano e via a chiacchierare, e a me tutto ciò faceva venire la nausea perché mi sembrava un sacrilegio fare chiasso davanti a quelle foto – aggiungiamoci che sono introversa, spesso se non è indispensabile comunicare con gli altri semplicemente non lo faccio. Ero in religioso silenzio, assorta e ovviamente con voglia di uccidere il 90% delle persone (anche se molti erano simpatici). Poi con l’inaugurazione la situazione è peggiorata, a quegli eventi ci vanno anche socialite di ogni sorta che fanno solo rumore. Altra gente da uccidere.

Mi sono concentrata nella bellezza degli scatti e una volta che ho visto tutta la mostra mi sono fiondata nel bookshop, a sfogliare libri di fotografia. Subito dopo sono andata via, appena ho potuto sono scesa dal vaporetto, forse alle Zattere, e ho fatto tanta strada a piedi, fino in stazione, perdendomi ogni 5 minuti. Perdersi a Venezia è sempre bello, di notte ancora di più – quella sera con un forte odore di mare lasciato dall’acqua alta, stupendo.

Sul treno, poi, ho provato a tornare alla realtà controllando la posta e sono capitata nella mail di un amico a cui non ho mai risposto: mi scrisse a ottobre 2012! (Ci sono arrivata per puro caso: era da tanto che non aprivo la posta da iPad con quell’applicazione, che era rimasta a ottobre 2012 e che aveva sicuramente qualche problema di password ormai cambiata.) La sua era una bellissima lettera con cui si offriva di ascoltarmi e anche di raccontarmi la sua esperienza di dipendenza affettiva e di stati depressivi; era un periodo in cui avevo tanti problemi e poca forza, sia fisica che mentale, e rinunciavo al mio amato corso di teatro, dove ci eravamo conosciuti. Perché non avevo mai risposto se le sue parole mi avevano davvero scaldato il cuore?

Dopo un’ora di viaggio ho collegato un po’ di punti. Leggevo La festa dell’insignificanza, il più recente libro di Kundera, e rimasi colpita da questo brano:

Me ne frego dei cosiddetti grandi uomini che con i loro nomi denominano le nostre vie. Sono diventati famosi grazie alle loro ambizioni, vanità, menzogne, crudeltà. Kalinin è il solo il cui nome resterà nella memoria in ricordo di una sofferenza che ogni essere umano ha conosciuto, in ricordo di una lotta disperata che non ha procurato infelicità a nessuno se non lui stesso.

Come dicevo qualche settimana fa, le migliori scoperte sono frutto di piccole intuizioni stratificate che emergono con forza quando arriva, in incognito, la famosa ciliegina sulla torta. Quindi non so di preciso com’è avvenuto, è stata probabilmente una (in)solita associazione di idee: ho estrapolato quel testo dal suo contesto (si parlava di un militare con problemi di prostata) e l’ho appoggiato sulle mie sensazioni della giornata e degli ultimi mesi. Poi ho capito perché non ho risposto alla lettera prima e va bene così: avevo bisogno di stare da sola, di darmi ascolto e, punto dolente, darmi credito.

Alla mostra, nonostante l’incontro svanito e il caos, non mi sono sentita frustrata, anzi mi sono goduta la solitudine pure in mezzo alla gente. Ho ricordato perché non vado a questo genere di eventi, ho fatto un’eccezione per il personaggio in questione, ma è sicuramente l’ultima volta. Insomma, questo riconoscere le mie preferenze (di quiete), rispettarle, non forzarmi, mi è piaciuto molto. E molto probabilmente è ciò che ho fatto a fine del 2012, ovvero intuire che dovevo fare un po’ di strada per conto mio, farmi i muscoli. Da allora ho chiesto e ricevuto aiuto professionale, sia per la salute fisica che mentale, ma ho affrontato tutto prevalentemente da sola, imparando a prendermi cura di me.

Quindi venerdì scorso è stata una bellissima giornata perché:

  • ho scattato delle belle foto della Venezia meno glamour, prima e dopo la mostra, ogni volta che “vedevo” un’immagine che mi piaceva;
  • le foto della mostra erano stupende, alcune di un’armonia travolgente;
  • ho sfogliato libri davvero meravigliosi nel bookshop, e anche questo nutre, alcuni erano così intensi che ho pianto, e questo mi ha ricordato che sono viva;
  • mi sono goduta la solitudine, e sono stata davvero bene;
  • ho consolidato il legame con me stessa.

Bene, ora sono pronta per stare con gli altri. E per rispondere a quella lettera.

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Le scoperte sono fatte di piccole intuizioni https://exploradora.it/2014/01/02/scoperte-piccole-intuizioni/ https://exploradora.it/2014/01/02/scoperte-piccole-intuizioni/#comments Thu, 02 Jan 2014 15:30:22 +0000 http://exploradora.it/?p=1836 Continue reading

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Le scoperte sono fatte di piccole intuizioni

 

Le scoperte più interessanti sembrano repentine perché ci appaiono all’improvviso, ma di solito sono frutto di numerose piccole intuizioni stratificate che emergono con forza quando si aggiungono gli ultimi tasselli.

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Verso l’immagine di Exploradora https://exploradora.it/2013/12/10/verso-limmagine-di-exploradora/ https://exploradora.it/2013/12/10/verso-limmagine-di-exploradora/#respond Tue, 10 Dec 2013 14:00:27 +0000 http://exploradora.it/?p=1821 Continue reading

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(Appunti per un amico art director, per la realizzazione dell’immagine di Exploradora)

laguna veneziana con il sole

Caro, eccomi finalmente. Dunque, mi dicevi di scriverti promesse, mission e tono di voce per identificare un’immagine di Exploradora. Allora, inizio per darti il riassunto di presentazione, che probabilmente racchiude missione e parte delle promesse:

“exploradora è un progetto di riflessione e ricerca sull’identità e la (ri)costruzione di sé in riferimento a esperienze di infanzia rubata, in particolare di abuso sessuale. Gli obiettivi principali sono incoraggiare chi è all’inizio del viaggio e sensibilizzare l’opinione pubblica”.

Sicuramente nella presentazione del progetto Exploradora trovi altro.

Promesse: veramente non ci ho mai pensato, ovvero non ho separato chiaramente i desiderata tra mission e promesse. Il progetto vuole essere un archivio disponibile a chiunque, nello specifico a chi come me cerca di fare chiarezza – soprattutto a chi sta iniziando il percorso: sto costruendo quel punto di riferimento che avrei voluto trovare io all’inizio (e che c’è solo in inglese, da quel che so). Rendo pubblico tutto il mio materiale scritto (e devo lavorare tanto ancora a ritroso) per poterlo classificare e etichettare adeguatamente e creare uno strumento per navigare fra i tag: sarà una specie di linea del tempo in cui man mano che ci si sposta si vedranno i tag maggiormente usati in quel periodo, così che si possa vedere il cambiamento semantico lungo il percorso. Se inizialmente c’era angoscia, ansia, solitudine, rabbia, un po’ alla volta si inseriscono nuove parole che prendono il sopravvento: tenacia, speranza, forza, ecc. Insomma, voglio rendere facilmente visualizzabile il percorso di “guarigione” e il lavoro su di sé.

Se vuoi, un punto di riferimento simile, con testimonianze e con citazioni da libri, in inglese, è OvercomingSexualAbuse.com.

Anch’io vorrei in futuro offrire anche citazioni/recensioni di libri pertinenti, nonché testi di altro genere (ricerca scientifica), e pure creare incontri di diffusione/sensibilizzazione, magari nelle scuole superiori… sono cose che al momento non posso fare perché mi manca il tempo, ma voglio trovare fondi e collaboratori per farlo dall’anno prossimo. Quindi tieni conto di questo sviluppo futuro.

Forse solo sul tono di voce ho le idee davvero chiare: chiaro, accogliente, caldo, calmo, riflessivo, intimo, non giudicante, comprensivo, curioso. Niente di urlato, niente di euforico. Chi arriva a Exploradora deve sentirsi a suo agio, davvero benvenuto, libero, mai spinto a fare o pensare alcunché.

 

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