Con le scarpe tutte rotte, o dell’arte di comunicare

alberi e nebbia al parco del risorgimento

Oggi un amico, Luca, mi raccontava di un brutto sogno che aveva fatto: non riusciva più a immagazzinare informazione, la “memoria” del suo cervello era esaurita. Per la cronaca Luca è trentenne, quindi è da scartare un timore della vecchiaia. Quando stavo per raccontargli del caso di Henry Gustav Molaison, ora studiato al millimetro dalla squadra del ricercatore Jacopo Annese presso The Brain Observatory, ha aggiunto:

una volta sognavo l’enciclopedismo

ora mi basterebbe sostituire le vecchie cose (inutili) con altre piu’ vive

ma non ci riesco

Ecco, il punto è proprio questo: l’errore consiste nel voler sostituire le cose vecchie con cose nuove. Non che sia impossibile ma non si può nemmeno programmare una cosa del genere, è semplicemente il naturale decorso quando le cose nuove prendono il sopravvento. Ma queste cose nuove devono prima esserci, devono esigere la nostra attenzione e le nostre energie in modo che le cose vecchie rimangano in secondo piano. Se vogliamo soltanto sbarazzarci del vecchiume che ci portiamo addosso non ne verremo mai a capo. Ci sono dei tempi fisiologici per il cambiamento che non possiamo forzare e ci vuole una coerenza tra il cambiamento interno e i suoi effetti all’esterno: se nessuno sa che abbiamo intrapreso una nuova direzione continueremo ad essere trattati come se caminassimo sulla vecchia strada.

Tutto questo mi è venuto in mente perché per più di un mese ho lottato contro i mulini a vento, per poi capire che era tutto dentro di me – tanto per cambiare – e non avevo lasciato trapelare molto nella sfera pubblica. Prima è stato il periodo prenatalizio: da una parte si erano chiuse, e avevo chiuso, alcune porte, ormai storiche, e ne ero al contempo sollevata e dispiaciuta, comunque segnata. D’altra parte non sopportavo il brulicare di buonismo attraverso i soliti auguri, mi chiedevo se la gente sapesse come stava il proprio vicino di casa, il fruttivendolo, il cognato… come stavo io. Che senso ha fare tutti questi auguri una volta all’anno e poi disinteressarsi degli altri per il resto del tempo? Avevo visto un paio di testi su Facebook, fra lo scherzoso e l’incazzoso, su questa lunghezza d’onda, eccone uno:

A tutti quelli che per il 2010 mi hanno inviato auguri di pace, prosperità, gioia, serenità, amore, felicità, benessere, ecc., ecc., ecc. comunico che: NON SONO SERVITI A UN BEL NIENTE!
Per il 2011 quindi si prega di inviare:
*Soldi contanti e/o assegni;
*Buoni benzina e/o gasolio;
*Generi alimentari di prima necessità, possibilmente a lunga conservazione, “NO MADE IN CHINA”.
Grazie di ♥. Buon anno!

Poi è arrivato il 6 gennaio, dopo quasi una settimana di influenza a letto. Avevo pochi soldi per le calze e poca voglia di improvvisare, le bimbe mi avevano già detto che secondo il papà “Babbo Natale non esiste, e nemmeno la Befana” ed ero molto tentata di mollare e dire che era vero, non esistevano e morta lì. Invece sono andata avanti, mi sono inventata delle calze poco ortodosse che le bimbe non hanno apprezzato – quando erano piccole ci cascavano ancora, ora invece ci tengono di più alle usanze consolidate. Fortuna che il comune di Vicenza è arrivato in mio soccorso! C’era la proiezione di un film in 3D per bambini al cinema Odeon, ingresso gratuito, calza con dolcetti e libro in regalo, siamo arrivate giusto in tempo per vedere… l’atrio straripante di genitori nevrotici e bambini ululanti. Non ci stava più uno spillo, le piccole hanno capito ma avevano gli occhi lacrimosi. E per strada gli sconosciuti che ci salutavano, i vecchietti che rincaravano la dose: “allora, è arrivata la Befana? vi ha portato tanti dolcetti? erano buoni? ma che belle bambine!”. Le mie bambine avevano lo sguardo di Kathy Bates in Misery non deve morire, e un po’ anch’io, li avrei uccisi tutti! Ma come si permettono? Ma cosa ne sanno di me, di noi?

Ecco, appunto: cosa ne sanno? Spesso sanno quello che vogliono sapere, certo, molte persone non guardano neanche chi hanno di fronte… ma io, cosa dico di me? Cosa racconto con i miei gesti, con le mie azioni? Evidentemente ciò che mi accadeva dentro non si rifletteva fuori. Un po’ come la storia delle calze: facevo prima a dire alle bimbe che non esiste la Befana, no?, così mi risparmiavo l’angoscia di inventarmi i dolcetti alternativi! La sostanza non coincideva con la forma. Ma allora, se la sostanza non coincide con la forma si può dire che esista veramente? Forse non del tutto.

Mi sentivo una befana, con le scarpe tutte rotte, quindi ho deciso di fare qualcosa, di far capire agli altri di che cosa ho bisogno, di cercare ciò che voglio, di bussare a diverse porte, di propormi, di andare nella direzione che piace a me e in cui so di potermi spendere al massimo. E proprio in quel momento qualcuno ha cominciato a bussare alla mia porta, proprio con ciò che amo. Infatti dal 10 gennaio è successo di tutto, con l’avvio di nuovi progetti come Todos a jugar, sul bilinguismo italiano-spagnolo, con incontri interessanti e stimolanti al Geek BioBrunch, e il tutto si è completato con il mio trentacinquesimo compleanno, il 20. Quel tutto che si è completato è soltanto l’avvio, iniziato molto timidamente quasi due anni fa quando dicevo “avere trentatré anni e sentirli“. Anche allora ero stanca, della paura e dell’immobilità, qual è la differenza con il presente? Tra il dire e il fare c’è di mezzo la volontà, il desiderio reale di qualcosa, l’assunzione delle relative conseguenze, l’accettazione di sé in tutto e per tutto, la responsabilizzazione fino alle ultime conseguenze, l’onore e l’onere della libertà.

Ora che finalmente ho capito e accettato, sia in ambito privato che pubblico/lavorativo, che uno dei nodi principali della mia vita è la comunicazione – dire le cose, farle passare dal punto A (io) al punto B (l’Altro), usando il linguaggio o il teatro – posso camminare nella direzione che voglio io e non a cerchi o avanti e indietro a scavare la trincea. E finalmente gli auguri non mi appaiono soltanto come ombre o surrogati di rapporti reali, il 20 gennaio ho visto con chiarezza chi me li ha fatti con il cuore, con rispetto, con affetto.

Quindi rispondo a Luca: sì, le cose vecchie possono essere sostituite, ma ci vuole tanto tempo (mi ci sono voluti due anni solo per la partenza!) e tanta fatica, tanto sudore e tanta stanchezza, e una ricerca attiva di una cosa Altra. Che poi è tutta da capire: Altra rispetto a cosa? E se l’Altro fosse in realtà il sé da troppo tempo negato e soffocato? Per me è proprio così, e per te? Per smuovere un po’ le acque forse può aiutare questo breve testo riportato ieri da Gianni Davico, che arriva come morale alla favola o come incipit di una nuova storia:

Fino a che uno non si compromette c’è esitazione, possibilità di tornare indietro, e sempre inefficacia. Rispetto ad ogni atto di iniziativa c’è solo una verità elementare, l’ignorarla uccide innumerevoli idee e splendidi piani. Nel momento in cui uno si compromette definitivamente anche la provvidenza si muove. Ogni sorta di cose accade per aiutare cose che altrimenti non sarebbero mai accadute. Una corrente di eventi ha inizio dalla decisione, facendo sorgere a nostro favore ogni tipo di incidenti imprevedibili, incontri e assistenza materiale, che nessuno avrebbe sognato potessero venire in questo modo. Tutto quello che puoi fare, o sognare di poter fare, incomincialo. Il coraggio ha in sé genio, potere e magia. Incomincia adesso.

˜˜˜

La fotografia in alto è mia, l’ho scattata il 16 gennaio scorso al Parco del Risorgimento di Vicenza, con un inizio di nebbia. In omaggio a Gianni Davico. E alla nebbia, alla luce, agli alberi.

Un commento

  1. Pingback:C'è qualcosa che bolle in pentola | Mariela De Marchi Moyano

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