Avere trentatré anni e sentirli

Il mio compleanno è passato da quasi due mesi, ed è da allora che voglio scrivere, ma mi pongo sempre più domande che mi fermano – perché ogni volta che trovo una risposta questa porta con sé un’altra domanda.

Possiedo una notevole percezione del tempo, per quanto riguarda la vita quotidiana: non porto l’orologio, ma se mi si chiede che ore sono posso dirlo con un margine di errore di 5-10 minuti, anche di sabato o di domenica, nel cuore della notte o a metà di una mattinata che non si vorrebbe finire – senza guardare il cellulare né il pc. Con il tempo che passa non ho problemi,  so che invecchio e non mi dispiace, anzi. Ma ecco che sorgono i primi dubbi. Questo mio quasi godimento nell’allontanarmi dal passato mi insospettisce, e mi fa pensare che ciò che voglio è in fondo non guardarmi alle spalle. È vero che sento il tempo che passa, ma sento veramente gli anni per quello che sono, per ciò che ho vissuto e non per un semplice fatto cronologico che permette di girare le pagine del calendario? E se sento qualcosa, che cosa è?

Avere trentatré anni e sentirli, mi è subito piaciuta come frase. Oggi però mi chiedo che cosa contiene questo numero, e quale effetto provoca su di me. La fatidica età della passione di Cristo, già. Dicono che ognuno ha la propria croce da portare, ma fino a poche settimane fa non ero sicura di aver capito quale fosse la mia. Ora so di averla travisata, o peggio ancora scambiata – apposta, sebbene non consapevolmente. Ora so qual è. Ma pochissime persone potrebbero intuire di cosa si tratta. Mi guardo indietro e vedo tanta gente ma non sento nessuno. E nessuno sente me.

Vedo tante teste e tante croci, tanti corpi tutti mescolati e spesso ignari dei pesi da portare e dei pesi che porta l’Altro. Un mare mosso senza bandiera rossa, senza bagnino, senza scialuppe di salvataggio. E tutti che fanno festa, come se niente fosse. E io che voglio capire.

Certe domande fanno paura perché ne conosciamo le risposte. Mi sono stancata della paura. Mi sono stancata di sentire per sentito dire. Mi sono stancata di essere così stanca. Ora esco.

9 commenti

  1. Da trentatreenne mi sento in dovere di rispondere, anche perché molte delle sensazioni alle quali alludi sono comuni.

    Io guardo spesso indietro, e più guardo indietro e più la configurazione globale del mondo di oggi – del mio oggi di trentatreenne – mi sembra lontana anni luce (e in progressivo allontanamento) da quegli impliciti ideali che “sentivo” nella seconda infanzia e nella prima adolescenza.

    Siamo iperconnessi, ma non riusciamo a trovare il tempo di guardarci e parlarci. Possiamo scegliere tra cento tipi diversi di yogurt, ma fatichiamo a trovare un’albicocca che sappia di albicocca. Possiamo ascoltare musica e vedere filmati in miriadi di dispositivi, ma nel servizio pubblico trovare un film di Fellini è impossibile. Probabilmente la sto buttando molto sul socialcollettivistico, ma non posso fare a meno di vedere il mio terzo di secolo come funzione del contesto umano e culturale che vivo. Siamo anelli di una catena economica e culturale che si autoconfigura, e il resto è solo qualche spritz con amici distratti e – appunto, come suggerisci – rari momenti in cui formuliamo domande a vuoto.

    Che fare, dunque? Secondo me c’è un solo modo di FARE. Farlo e basta. Fare cosa? Quello che ciascuno di noi può fare. E il primo passo per fare è comunicare agli altri quello che siamo e, dunque, quello che vogliamo fare. Gli altri non ci capiranno? Questo non è un problema, anche perché se stiamo zitti l’incomprensione è certamente maggiore. Comunicare è la prima mossa.

    Ecco spiegato il nostro essere blogger.

  2. Caro Filippo,
    hai toccato alcuni punto fondamentali: il fare, l’essere ciò che si è, il comunicare – comunicare ciò che siamo e ciò che vogliamo fare. Come comunicare? Attraverso i fatti, che dovrebbero rispecchiare ciò che siamo e ciò che vogliamo. Il problema è spesso proprio qui, nel non saper riconoscere chi siamo e quindi non essere capaci di aderire a noi stessi. Parlo al plurale perché so che è un problema assai diffuso, e che mi colpisce direttamente negli ultimi tempi.
    Il primo passo in assoluto è comunicare con noi stessi senza mentirci, senza barare. Ed è il passo più difficile, in quanto tendiamo ad essere indulgenti per risparmiarci sofferenza e fatica.
    Poi viene, da sé, il secondo passo, che consiste nell’essere coerenti con ciò che siamo e pensiamo, comportarci di conseguenza. Ciò si rifletterà nei gesti quotidiani, nelle scelte di vita, nel modo di porci nei confronti del mondo e degli altri. È così che comunichiamo con gli altri, più con i fatti che con le parole. Ma questo passo è ancora più impegnativo del primo.
    Non è semplice svegliarti un giorno (e non mi riferisco al risveglio mattutino), guardarti intorno e chiederti come cavolo sei finito lì, in quel contesto, in quella vita, in quelle scelte. Quanto ti appartiene di tutto ciò? Quanto hai scelto veramente? Ecco, così mi trovo ora. Mi trovo a rivalutare le scelte fatte, a discernere tra volontà e necessità, a prendere decisioni consapevoli per il futuro a lungo termine.
    Tornerò presto con altre riflessioni, ormai sono partita e non mi fermo più. Baci.

  3. L’espressione SONO è a mio avviso ambigua. Cosa intendo con il verbo SONO. Si parla spesso di “essenza” di una persona, ma questa essenza si confronta (a) con la realtà nel suo complesso e (b) con la cooperazione culturale implicita nell’incontro e scontro fra linguaggi.

    Alla fine possiamo usare espressioni come “quello che vorrei essere in questo mondo”, piuttosto che “quello che avrei voluto essere in astratto”, piuttosto che “come alcuni mi vedono”, e via discorrendo. Non ritengo si possa essere definitivi e definitori con una realtà così fortemente ambigua.

    Piuttosto, si tratta di disegnare una mappa del nostro essere, magari nelle sue configurazioni più salienti e sensate, per utilizzarla al meglio.

  4. io sto per compierne 39 di anni.
    ricordo di avere avuto la crisi dei 30 e di averci messo un bel po’ a uscirne.
    Ne sono uscito con un retrogusto amaro.
    La martellata vera è stato rendermi conto di essere diventato adulto. Adulto nel senso di avere imboccato l’imbuto che porta (credo) ciascuno di noi ad essere quello che è.
    Fino ad un certo punto la vita consente molte strade, ad un certo punto la via si stringe, fino a diventare una unica via maestra.
    Non vuol dire che non si può cambiare strada, è solo enormemente difficile, e forse, non vale nemmeno la pena. Ci ho messo un po’ ad elaborare quel lutto.
    Credo di averlo elaborato. Adesso devo solo capire se mi piace o no quello che sono, ed in fondo forse mi piace. Forse non è necessario inseguire le cose, forse è necessario dirsi quello che si è e semplicemente prenderne atto.
    Non mi accontento, non l’ho mai fatto, lo sforzo che sto cercando di fare è riguardare chi sono e da dove arrivo, per dirmi che, in fondo sono stato abbastanza bravo da avere stima di me stesso, senza dovermi macerare alla ricerca di chissà che.
    Scrivere talvolta aiuta. Io sono fortunato, ho una moglie e dei figli, che sono persone meravigliose. Questo mi aiuta. In fondo, e lo scopro intanto che lo scrivo, sono orgoglioso di me stesso perchè sto vivendo una vita piena.
    @Mariela è dal tuo commento al mio post su FF che volevo dirti qualcosa, il momento è venuto adesso 🙂
    Sentirsi 33 o 39 anni è come quando, dopo un allenamento duro senti il tuo corpo affaticato ma vivo. Forse io mi sento così, non so se per te può essere lo stesso. Il corpo affaticato ma vivo diventa il modo per continuare, quello che manca adesso non necessariamente mancherà, peggio sarebbe non avere vissuto.
    ti abbraccio con affetto e ti auguro buona strada 🙂

  5. non ricordo di aver attraversato momenti di crisi nello scorrere degli anni, o forse la mia deve ancora arrivare
    forse ho solo evitato caratterialmente di pensare allo ieri e al domani, all’uno in meno e all’uno in più
    la cosa certa è che se queste domande non smetteranno di esistere
    ti ritroverai a 34 cercado le risposte
    e la prossima domanda sarà…che ho fatto a 33 anni?
    ogniuno ha la sua croce, e visto che ne abbiam già una cerchiamo
    di tenerci solo quella 😀

  6. Grazie per i commenti, Phil, Lele e Irish Coffee. Le cose si evolvono lentamente, e si avvicina il punto di non ritorno. A presto.

  7. Sono sensazioni e problemi che sentiamo tutti.
    Ci accorgiamo di aver sfiorato tante strade e non siamo sicuri di aver preso quella giusta. Come ha scritto qualcuno, vediamo molto più facilmente le cose negative e non ci accorgiamo di quello che abbiamo. Chesterton diceva “Il miglior modo di amare una persona è accorgerci che potremmo perderla” (cito a memoria).
    Io credo, tutto sommato, come diceva Vinicius, che “la vita è l’arte dell’incontro”. E’ quello che conta, alla fine. Più di tutto, attualmente, mi mancano le conversazioni fatte per il gusto di farle. Penso che mi trasferirò al sud 😉

    Ciao,

    Federico

  8. Ciao Federico,
    sì, a un certo punto si fanno bilanci. Il problema, forse, è che i bilanci andrebbero fatti sempre, non quando i dubbi e le indecisioni ormai ci schiacciano.
    L’incontro è fra le cose più difficili in assoluto. Se parliamo soprattutto di incontro profondo, reale. Tendiamo ad accontentarci di un simulacro di comunicazione, di uno sguardo distratto sulle cose.

  9. Pingback:Con le scarpe tutte rotte, o dell'arte di comunicare | Mariela De Marchi Moyano

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