Stare bene è un lungo viaggio

Avvertimento: questo post è lungo, siediti comodo oppure torna quando hai del tempo libero per leggere con calma. Si tratta di una sorta di viaggio, con un ritmo interno che non può essere spezzato.

Archivio (quasi) tutto, a modo mio

Avete presente che cos’è inbox zero? Si tratta di un metodo ideato da Merlin Mann per la gestione della posta elettronica, per non subirla passivamente, anzi affrontarla attivamente. (Trovate parecchia informazione al riguardo sul web, per uno sguardo d’insieme invece vi consiglio il buon Sopravvivere alle informazioni su Internet: Rimedi all’information overload, di Alessandra Farabegoli.) Una delle opzioni prospettate per chi ha davvero troppo materiale da sistemare, centinaia di mail nella inbox, è quella di archiviare tutti i messaggi – o almeno tutti quelli più vecchi di una certa data, diciamo 10/20 giorni. In questo modo si sgombera subito la casella in entrata e tutto ciò che arriva viene subito gestito senza accumulare più montagne di cose da smaltire – e senza la vecchia sensazione di sopraffazione. Le mail archiviate non scompaiono per sempre, semplicemente non le vediamo più e sono comunque consultabili con una semplice ricerca (parlo sempre di Gmail, ormai non so più nulla degli altri provider di posta elettronica). Tutte le mail archiviate finiscono nella sezione “all mail”, ovvero tutta la posta, di qualsiasi genere e con qualsiasi etichetta.

Io mi trovo ora in una situazione di quel genere, cioè ho bisogno di fare un bel ripulisti ma non solo nella posta elettronica, bensì nelle mille idee accumulate (in testa) per diversi progetti personali. Alcune cose sono già su Evernote per essere sviluppate, altre non possono proprio andarci perché più avanti non avrebbero più senso o si trasformerebbero per completo. Mi è già successo in passato di lasciare in sospeso spunti interessanti perché aspettavo di avere il tempo di scrivere o creare qualcosa esattamente come la immaginavo, ma il tempo non era mai abbastanza e non iniziavo nemmeno… mi dispiace che ciò accada ancora.

Fatto è meglio che perfetto, quindi ho deciso di “archiviare” a modo mio (quasi) tutto qui, come viene, viene. D’altra parte questo posto, Exploradora, è stato creato proprio per assolvere anche questa funzione: un archivio che mi consenta di viaggiare più leggera, reso pubblico per essere utile agli altri. Se ciò che mi fa stare bene aiuta altre persone a stare bene siamo tutti più felici, no? Eccovi dunque, per mia/vostra/nostra felicità, un campione di ciò che mi frulla per la testa e per la pelle.

Stare bene: la forma è la sostanza

Una volta mangiavo molto quando ero ansiosa o angosciata, ovvero molto spesso. Non vomitavo, al massimo cercavo di limitare i danni mangiando roba sana, così poteva capitare che in un singolo “fuori pasto” mangiassi un’intera confezione di gallette di riso, una mela, quattro mandarini, sempre quando ero da sola. Fin lì la situazione era relativamente gestibile (è un eufemismo, lo so), la vera deriva iniziò quando smisi di farmi scrupoli per la qualità del cibo e cominciai a trangugiare patatine fritte e cioccolattini. Dopo pochi mesi la situazione era del tutto fuori controllo, quindi chiesi aiuto al centro per i disturbi alimentari di Vicenza.

Era marzo e avevo appena iniziato il percorso con il supporto di professionisti molto bravi, che mi avevano fatta sentire protetta e sostenuta, qualcosa di molto rassicurante e di cui avevo estremo bisogno. In quel periodo arrivò l’occasione di partecipare a un laboratorio, tra il creativo e il riflessivo, che attendevo da tempo, e ci andai con grande entusiasmo. Mi trovai benissimo, vuoi perché si trattavano argomenti che mi appassionavano, vuoi per la gioia di fare qualcosa solo perché ne avevo voglia (sembra scontato ma non lo è). Ma una delle cose più interessanti accadde subito dopo l’evento, quando qualcuno mi fece notare, in privato, che ero molto bella, molto donna. Questo apprezzamento mi piacque assai ma mi spiazzò un po’: ero ancora in obesità di primo grado e trovare dei vestiti che mi stessero bene fu un’impresa, com’era possibile che andasse tutto così bene? Poi capii che i vestiti che indossavo non erano solo comodi, erano anche della forma e dei colori giusti: mi accoglievano e mi rendevano più accogliente, nonostante la mia indole diversamente socievole. E infatti  mi ero vestita in un modo che mi piaceva e mi sentivo ordinata, armonica, libera; evidentemente tutto questo arrivava agli altri. Oppure, come dice Michela Martini, lavorare su se stessi rende belli.

Purtroppo l’energia che mi diede quell’episodio durò poco, come mi accade spesso con le cose belle: tendo a non assimilarle del tutto, a non farle completamente mie. Così lasciai in sospeso la ricerca del benessere a tutto tondo, focalizzandomi molto sull’equilibrio interiore e su un’alimentazione sana, ma ignorando quasi completamente il mio aspetto. Non è un caso, devo ammettere che da anni evito di guardare il mio corpo per quello che è.

Solo di recente ho scoperto di aver iniziato inconsapevolmente, come se fosse un’avventura clandestina, una ricerca sulla sintonia tra il contenuto e l’involucro che dovevo approfondire. Ho capito, anche grazie ad alcune conversazioni con Silvia Toffolon, che i nostri spazi interiori ed esteriori sono interdipendenti, si alimentano a vicenda e non possono vivere separati. La vera e propria consapevolezza di tutto ciò arrivò nel luogo in cui meno ci si aspetterebbe di avere un’epifania: un centro commerciale.

mano con braccialetto rosso pompeiano e altri tessuti rosso/doratoEro in un negozio di accessori e dovevo prendere due collanine per una delle mie figlie e per la sua amichetta. Durante la lunga fase di scelta – ero in compagnia delle interessate – ho visto questo braccialetto e me ne sono innamorata subito. Ci ho messo poco a capire che mi piaceva perché era di un colore caldo e accogliente, mi ricordava il rosso pompeiano; più difficile è stato riconoscere che mi andava bene anche il dorato: ho sempre evitato l’oro perché lo associavo a persone cafone che amano ostentare ricchezza. Insomma, l’incontro casuale con questo braccialetto mi ha fatto capire che lentamente sto entrando in sintonia con il mio segnale interiore attraverso una sorta di tuning. Mi riferisco proprio all’auto tuning, ovvero quelle modifiche che si fanno sulle macchine affinché riflettano la personalità  del loro proprietario – ne ho vista una della stessa marca e lo stesso modello della mia, ma era completamente diversa, sicuramente dal suo aspetto potevo intuire com’era il guidatore. Poi con le solite ricerche strambe che faccio su Google sono arrivata al self tuning, e l’ho letto come una metafora del lavoro che sto facendo su di me:

Giving software the ability to self-tune (adapt):

  • Facilitates controlling critical processes of systems;
  • Approaches optimum operation regimes;
  • Facilitates design unification of control systems;
  • Shortens the lead times of system testing and tuning;
  • Lowers the criticality of technological requirements on control systems by making the systems more robust;
  • Saves personnel time for system tuning.

Non so quanto sia comprensibile tutto questo dall’esterno, devo pensarci ancora.

Dalla paura alla generosità

Sarebbe stato strano che “solo” gli aspetti personali della mia vita fossero sottosopra e che invece il lavoro fosse a posto. Infatti non lo è. Da qualche mese lo sto rivedendo parecchio, è da poco che ho capito di possedere ottime competenze (e qui ritorna la fatica di assimilare le cose buone) e che sono pure spendibili in contesti che mi possono dare di più sia dal punto di vista economico che da quello di crescita professionale. Insomma ho capito che posso fare molto e arrivare lontano, ma faccio ancora fatica a immaginare il come. Talvolta, però, mi sono chiesta se quell’incognita non fosse invece una paura feroce: quella di riuscire e quindi diventare più forte e responsabile.

Appunti sul potere del cambiamento Da diversi anni sono in lenta metamorfosi, quindi appena ho saputo del minicorso Il potere del cambiamento, a cura di Andrea Sales (Centro Paradoxa, Treviso), mi sono subito iscritta, decisa a premere l’acceleratore una volta per tutte. Un po’ mi ha confermato di essere sulla strada giusta, ma soprattutto mi ha dato stimoli per affrontare i vecchi alibi. Sì, gli ostacoli sono odiosi, ma se non li affrontiamo velocemente diventano elementi familiari della nostra geografia emotiva e paradossalmente averli sempre vicini ci fa sentire a casa. Superare gli ostacoli è un tuffo nell’ignoto, ben oltre la nostra comfort zone, e lo possiamo fare solo se partiamo convinti di cadere in piedi – e disposti a rialzarci in caso di caduta. Se continuiamo a pensare “ce la farò?” non ci muoveremo di un millimetro.

Si è parlato di molte cose: la direzione verso cui andare ci è chiara quando capiamo che dobbiamo/vogliamo cambiare, bisogna partire da dove si è, ora, fare un’analisi della situazione, visualizzare sé raggiunto l’obiettivo, programmare degli step… sono uscita con la testa che girava a mille! Ma il giorno dopo, puntualmente, mi sono svegliata stanca, come svuotata da un vampiro. Certo, venivo da una settimana di poco sonno e avevo iniziato un nuovo allenamento in palestra, quindi la stanchezza fisica ci stava tutta, ma perché del corso non mi era rimasta almeno l’energia mentale? Così, un po’ alla volta, ho cominciato a sentire il peso delle cose che non vanno, di quelle che devo risolvere, quelle che non posso ancora risolvere, di quelle che non so proprio come risolvere, degli alibi…

Dopo qualche ora ho capito che ero bloccata e che era inutile continuare a girare a vuoto, quindi ho ascoltato le parole che mi riecheggiavano dentro dalla sera prima, ovvero “chiedi aiuto” (ammettere i propri limiti vuol dire non temerli, cit. Sales). Ho chiesto una mano su Facebook senza riferire i retroscena, semplicemente esplicitando di che cosa avevo bisogno: “Voglia di coccole, dolcezza, bellezza. Mi fate qualche bel regalo nei commenti? Grazie!“. Mi sono sdraiata per un’ora e quando mi sono rialzata ho trovato le prime risposte. Ho scritto direttamente ad alcuni amici e ho chiesto loro di contribuire con qualcosa, sempre nei commenti, in modo da avere una bella raccolta. Poi sono andata a farmi io le coccole – palestra, prendermi cura di me. Alla fine dell’esperimento mi sono ritrovata piacevolmente sommersa da tanti gesti di affetto:

Status update su Facebook: Voglia di coccole, dolcezza, bellezza.

Sono stati tanti gli amici e i conoscenti che mi hanno regalato qualcosa in questa occasione, e non ho finito di ascoltare tutta la musica (album interi) né di leggere tutti i testi (due libri!) che ho ricevuto, ma ho capito diverse cose:

  • costa molto dire “sto male”, le emozioni sono parte fondamentale della salute mentale ma è ancora un tabù parlarne;
  • confidarsi con amici stretti sulle proprie difficoltà aiuta molto, ma a volte è necessario far trapelare qualcosa all’esterno – non si può essere sempre sorridenti, grintosi, forti, motivati, non siamo macchine;
  • per quanto il mondo vada storto, ci sarà sempre gente generosa disposta ad aiutare chi ne ha bisogno;
  • se si sente di non avere risorse a sufficienza, basta chiedere aiuto, non è qualcosa di cui vergognarsi, essere incompleti è la condizione umana;
  • nonostante gli errori, le fughe, la difficoltà di chiedere scusa e di esporti, gli amici  ti vogliono bene lo stesso e saranno lì per te, senza fare domande, senza giudicare, sanno che cosa provi;
  • ci sono tanti modi per fare le coccole, con ogni probabilità molti gesti di affetto non sono mai percepiti;
  • bisogna essere più pazienti con sé stessi, ci sono tempi fisiologici che non possono essere forzati.

Sapere queste cose è di grande aiuto ma non risolve i problemi. La consapevolezza è una parte importante del percorso di rinascita e di costruzione di sé, me è solo una parte, nemmeno quella più importante. La parte più importante è quella più lunga: consiste nel fissare la consapevolezza nella nostra essenza attraverso l’azione, ed è fatto di pazienza, amore, tenacia, pazienza, pazienza e ancora pazienza.

E dunque?

Non so come, ma vado avanti, tra cose belle e momenti cupi. Dico da tempo che la cosa che più mi rende felice è aderire a me stessa, nel bene e nel male. Il fatto che sia triste non implica che non sia felice, se è una tristezza mia. Accetto quindi la mia tristezza e piango, poi mi asciugo le lacrime e torno a camminare.

Non salto l’appuntamento in palestra, là tutto procede per il meglio – l’allenatore è bravissimo, lo ripeto in continuazione, se gli dico che ho avuto una giornata orrenda mi aiuta a resettarla e sentirmi bene, addirittura forte. Mi piacerebbe farmi durare di più la forza interiore, ma mi rendo conto che non c’è una batteria Duracell per gli umani, quindi mi dico che un po’ alla volta assimilerò il bello in modo naturale e vado avanti lo stesso. Faccio ancora fatica con il cibo (mi viene in mente quando sono molto nervosa, devo fare uno sforzo per non abbuffarmene), ma ho già perso più di 6 kg e ora sono “solo” in sovrappeso, quindi cerco di essere ancora più paziente e di mantenermi il più possibile in carreggiata.

Scrivere mi fa tanto bene, è un tempospazio di solitudine e di introspezione meraviglioso e proficuo. Troverò il modo di rendere sostenibile questo progetto, in modo da poter scrivere di più e sempre meglio. Devo farlo.

Dimenticavo: sto andando davvero verso inbox zero, in particolare grazie a Mailstrom, uno strumento strepitoso per smaltire grandi quantità di posta in entrata arretrata! Per l’ordinaria amministrazione c’è Mailbox. Non mi pagano per dire queste cose, giuro 😉

7 commenti

  1. mi sembra di trovare tutti i miei pensieri e le mie emozioni messe nero su bianco..un viaggio che sento dentro! Sei fantastica semplicemente per quello che sei..e spero anche io di trovare presto un equilibrio tra dentro e fuori..di trovare il mio modo!

    • Grazie, Lara! Alla prima occasione magari parliamo un po’ di cose di questo genere e non solo di lavoro?
      Tieni duro, e se vedi che facendo come hai fatto finora non ti trovi bene, prova a cambiare un po’ le cose, anche solo una piccola variazione a volte fa la differenza.
      Un abbraccio!

  2. Alla faccia di chi dice che su internet i post lunghi/lunghissimi non vengono letti.
    Io me lo sono gustato in un lungo viaggio Milano-bassa padana. Sul treno.
    Mi hai emozionato tanto.

    • Ne sono felice, Marco. Di sicuro la sintesi è un pregio, ma lo è anche sviscerare le cose per analizzarle a fondo. A volte il percorso che si fa per ottenere la sintesi è più importante della sintesi stessa, perché ci svela tanto sul nostro modo di affrontare le cose.
      Arrivo prestissimo con altra roba buon, non andarmi in astinenza!

  3. Pingback:L'omologazione del #webwriter / Un sito di Emme

  4. Ho letto con emozione e tutto d’un fiato. Volersi bene è difficile, e tu sei forte e coraggiosa perché te ne vuoi sempre di più. Grazie per aver condiviso questo viaggio.

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