La paura delle emozioni

cartelle colorate e documenti

Si sa che i traslochi durano a lungo e che mesi dopo ci sono ancora scatoloni da aprire e sistemare. Ma se a distanza di anni alcuni scatoloni sono ancora lì, è segno evidente di qualcosa in sospeso – e non mi riferisco solo agli oggetti che attendono di essere riposti da qualche parte.

Mi sono separata fisicamente nel 2008 (dico “fisicamente” perché, si sa, le separazioni iniziano molto prima che uno dei due vada a vivere altrove) e ancora oggi, dopo poco più di 5 anni, rimangono i postumi da trasloco. Anzi: non ho fatto altro che aumentare la quantità di scatole, cassette e sacchetti dove inserire, di volta in volta, le cianfrusaglie più svariate. Finché si trattava di vecchie cose andava ancora bene, quando sono finiti in quel buco nero anche i documenti è stato l’inizio della deriva. Ogni volta che cercavo di fare ordine riuscivo al massimo a creare mucchietti di caos organizzato, e continuavo a rimandare il momento decisivo spostando di qua e di là le pile di carte.

La situazione è peggiorata quando, un anno fa, i miei sono venuti a stare da me e lo spazio a casa si è ridotto. Paradossalmente, invece di affrontare le cose accumulate per poter avere più spazio a disposizione, ho evitato la questione ancora con più tenacia, come se dovessi “difendere” il mio caos dall’ordine killer. Ero bloccata apparentemente senza motivo, un po’ come nel film L’angelo sterminatore, di Buñuel, solo che la prigione ero io stessa. E più vedevo l’urgenza di un’azione concreta da parte mia e più sentivo di non farcela, finendo per giudicarmi con severità perché non ci ero riuscita in così tanto tempo. E di conseguenza rimanevo ancora più paralizzata e frustrata di prima.

Tanto per rimanere nel terreno dei presunti paradossi, la soluzione è arrivata quando la situazione si è complicata ancora di più – sì, può sempre peggiorare, ma dal peggio possiamo trarre una forza e soprattutto una creatività inimmaginabili, credetemi. Mio fratello è venuto a stare da noi per pochi mesi, finché non si riorganizza dal punto di vista logistico – trasloca anche lui, riprende a studiare e altre amenità. Conseguenza diretta: ancora meno spazio a casa. Solo che lui, come ogni persona sana, man mano che ha portato le sue cose ha voluto metterle a posto. Ma come si è permesso di farmi un simile affronto?! Ho visto, con crescente angoscia, quanto fosse facile mettere in ordine libri, documenti, dvd, vestiti… perfino soprammobili! E io che continuavo a spostare scatole e cartelle senza soluzione di continuità. A un certo punto il confronto tra il mio caos e il suo ordine è stato davvero stridente e mi sono rassegnata all’inevitabile: dovevo affrontare il mostro del mio lago.

Ho iniziato qualche giorno fa e devo dire che sto riuscendo a buttare via più cose del previsto. È un’attività entusiasmante e gratificante, devo ammetterlo, ma anche terribilmente destabilizzante: ho ritrovato delle lettere, scritte da me, che mi hanno fatto rivivere un dolore che credevo di aver superato, o quanto meno di aver ridimensionato – al ribasso, va da sé. Dolore causato non tanto da brutte esperienze, quanto dallo scoprirmi e ricordarmi così inconsapevole di ciò che mi accadeva e così incapace di proteggermi. Rileggere certe cose vuol dire guardare nuovamente, senza filtri, la Mariela di quel periodo: una bambina che navigava in alto mare su un gommone, priva del raziocinio adulto necessario per valutare una situazione pericolosa.

Ecco, quindi, la ragione del rifiuto di fare ordine per anni interi: paura delle emozioni, soprattutto negative – non è una cosa scontata, anche le emozioni positive possono essere impegnative. Sapevo di avere materiale delicato nei miei archivi, anche se non volevo ricordarlo, e sapevo che rivederlo avrebbe innescato una catena di sensazioni ed emozioni a dir poco complicate, quindi facevo di tutto per non dover ritrovarmi di fronte a quel tipo di sofferenza, quella sensazione di impotenza e di smarrimento. Tecnicamente, in psicologia, questo è un meccanismo di difesa e si chiama evitamento; non so ancora se è un aspetto predominante della mia personalità, ma so che disinnescarlo mi sta costando tantissimo.

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